2015-04-16

Rinviati a giudizio il giornalista de La Gazzetta del Sud, Giuseppe Baglivo ed il direttore responsabile Alessandro Notarstefano per offesa reputazione al Dott. Domenico Macrì

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COSENZA – “Dimmi che cognome porti e ti faccio diventare ndranghetista!” È questa la logica che campeggia nel giornalismo calabrese dove al caso di omonimia non è mai associata la verifica meticolosa delle generalità della persona, la quale, malcapitata, diventa vittima, a sua insaputa, di una macchina di fango senza fine che la costringe a difendersi contro tutti per mantenere illesa la propria onorabilità: Stato compreso. Fortunatamente però qualcosa a volte succede come ad esempio il caso del giornalista del quotidiano “La Gazzetta del Sud”, Giuseppe Baglivo e del direttore responsabile Alessandro Notarstefano, che sono stati rinviati a giudizio dal GUP del Tribunale di Cosenza, dottoressa Giuseppa Ferrucci, nel corso dell’udienza svoltasi il primo aprile, per avere offeso la reputazione del dottore Domenico Macrì, all’epoca dei fatti, Dirigente responsabile del settore economico dell’Ente Provincia di Vibo Valentia, nonché apprezzato e stimato cittadino della comunità di Nicotera.
Nei confronti del giornalista, Giuseppe Baglivo e del direttore responsabile, Alessandro Notarstefano, il Pubblico Ministero presso la Procura di Cosenza aveva esercitato l’azione penale, con richiesta del rinvio a giudizio, ritenendo fondata l’ipotesi d’accusa, secondo la quale i due avrebbero offeso con due distinti articoli, pubblicati rispettivamente il 31 maggio 2013 ed il successivo 5 giugno, la reputazione del dott. Domenico Macrì, rappresentato e difeso dagli avvocati Nicola Minasi e Valerio Mangone, entrambi del Foro di Palmi.
In entrambi gli scritti, il giornalista de La Gazzetta del Sud, aveva attribuito dei fatti specifici alla condotta del dott. Macrì, riferendo, nel primo articolo, di “una vicinanza” della suddetta persona offesa ad un esponente di una nota famiglia criminale operante nel territorio vibonese e, nell’altro, della indicazione del nominativo di un omonimo, negli atti di una inchiesta giudiziaria in corso.
Sulla base delle prove, il Giudice dell’Udienza Preliminare del tribunale cosentino, valutati i fatti oggetto di imputazione, per stabilirne la valenza offensiva, rispetto al bene giuridico protetto dall’Ordinamento e la riconducibilità delle fattispecie di reato ipotizzate in capo agli imputati, nonchè apprezzati prognosticamente gli elementi di prova a carico degli stessi imputati, all’esito delle acquisizioni investigative, ha ritenuto il quadro probatorio, allo stato, sufficiente ed idoneo a sostenere l’accusa in giudizio nei confronti di entrambi, l’uno per avere redatto gli articoli incriminati, l’altro, per aver omesso di esercitare il dovuto controllo sul loro contenuto diffamatorio, prima della loro pubblicazione e, conseguentemente, ne ha disposto il processo.
Il riconoscimento della manifesta fondatezza dei capi di accusa elevati a carico degli imputati, che saranno chiamati a rispondere giudizialmente delle azioni contro la integrità morale di un cittadino, non può che essere interpretato come freno alla insidiosa e strisciante macchina di fango che ha operato ai danni di uno stimato dirigente della pubblica amministrazione, probo al proprio operato nonostante il pregiudizio alla serenità che questa azione, inspiegabile, abbia potuto provocargli.
Esiste l’etica, la morale ed il codice deontologico, ma soprattutto dovrebbe esistere l’onestà intellettuale di svolgere con professionalità il proprio mestiere pensando anche agli effetti che esso potrebbe scaturire
16 aprile 2015